Il matrimonio della sirena di Lolita Timofeeva, tecnica mista su carta, foglia d'oro, 1997 Delle volte, spulciando tra le vecchie carte, faccio delle scoperte curiose che mi aiutano ad ordinare le mie idee e ad analizzare il mio percorso creativo. Questa volta ho trovato un qualcosa che conferma le potenzialità del nostro inconscio ed è un lavoro su carta dal titolo “Il matrimonio della Sirena” del 1997. L’intenzione di allora era di raffigurare lo sposalizio con l’Arte, una sorta di nozze mistiche che uniscono le energie divine creative e creatrici, raffigurate dal cuore infuocato con l’occhio che vede tutto, con le energie terrene, rappresentate dalla figura femminile che però assume le bizzarre sembianze della sirena, con riferimento all’acqua. L’acconciatura della sposa è adornata dalla luce dorata intensa e circoscritta. Tutti questi elementi ora mi portano a pensare non solo all’unione degli opposti ma ai princìpi che regolano i significati fondativi della cultura ...
Quando vado a vedere le mostre-mercato come Arte Fiera, dove le proposte sono tante e si rischia il disorientamento, mi affido all’intuizione scorgendo tutto comunque, per i fini didattici, ma fermandomi solo davanti alle opere molto belle, opere bizzarre oppure davanti alle opere che mi incuriosiscono come fenomeno sociale. Il significato del bello è diverso per ognuno di noi. Per me il “bello” relativo a un’opera d’arte non significa che raffiguri per forza un qualcosa di aggraziato, ma che i suoi contenuti mi provochino una sorta di inquietudine, inchiodandomi davanti nel tentativo di coglierne il significato. Vuol dire che l’armonia o la disarmonia apparente dei mezzi usati mi porta oltre l’oggetto o soggetto raffigurato, toccando in me le corde di un ricordo antico, scavando nella mia memoria genetica e facendomi vivere l’esperienza della trascendenza. Invece il “brutto” nell’arte per me è semplicemente il sinonimo del banale. Ora però, non parlerò delle opere belle o brut...
Ho riflettuto a lungo sul perché crearsi un blog. Pur ammettendo di avere forti pregiudizi per la marea di banalità che circola in rete e di avere impegni che per ora ritengo più interessanti, mi arrendo al richiamo della modernità rinchiuso in questo nomignolo-neologismo “blog”. Ma c’è un piccolo problema: ho sempre sostenuto che fare una qualsiasi cosa senza voglia è tempo perso. Allora provo a convincere me stessa usando un trucco: mi impongo di cambiare il mio punto di vista. Perché quando non riesci a mutare le cose secondo il tuo desiderio, poi sempre aiutare il tuo desiderio a cambiare. Dunque, mi arrendo e prometto di accettare la sfida e di seguire questa sorta di diario di bordo amorevolmente. La parola “sfida” già mi piace. Ma scrivere un blog è sempre mettersi in piazza. Pur riconoscendo la democrazia di questo mezzo, il tuo pensiero e ciò che fai diventa accessibile a tutti. È un po’ come spogliarsi… Ma sono timida. “Sei bugiarda”, mi dico “perché la scelta...
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