L’installazione
“Opus” può avere diversi livelli di lettura, quello più immediatosuggerisce la visione dell’albero sradicato
che giace per terra - il geroglifico del corpo sofferente dell’umanità - è una
metafora di ciò che sta succedendo ora nel mondo, rappresenta la nostra
vulnerabilità. Gli alambicchi di vetro trasparente si nutrono della linfa dell'
albero della vita ed è un messaggio di speranza.È la trasmutazione attraverso un’esperienza
dolorosa e attraverso una conoscenza nuova della fragilità del nostro pianeta,
della nostra civiltà.
E qui possiamo
approfondire i significati dal punto di vista alchemico: l’immagine rimanda
allo stadio iniziale del Magistero – la nigredo – stadio che rappresenta le
difficoltà che l’adepto deve superare durante il suo viaggio iniziatico
all’interno di se stesso per scoprire la "aurea apprehensio", cioè la
conoscenza salvifica.
In alchimia l’albero
è un simbolo femminile: affonda le sue radici nella terra e proietta i rami
come le braccia nel cielo, unisce il cielo alla terra, il sacro al profano, il
visibile all’invisibile. È associabile al potere generativo femminile della
terra e del cosmo, poiché, come l’albero, il cosmo si rigenera incessantemente
ed è sorgente inesauribile di vita, rappresenta la forza universale.
È l’albero di Sophia
o Sofia (dal greco σοφία) -la sapienza
(dal latino sapientia, derivato di sapiens -entis «sapiente, saggio»), è un
concetto filosofico che presuppone il possesso teorico di approfondita scienza
e capacità morale di saggezza.
L’albero è la Regina
e gli alambicchi - gli Adepti - sono in atto di suggere, dal seno della Regina,
il “latte della conoscenza”.
Gli alambicchi hanno
la funzione di distillare -nel senso allegoricoe spirituale- il nostro tempo, purificare il valore della nostravita, aiutarci nella ricerca dello “spirito
puro”, ovvero scoprire la quintessenza delle cose, trasformare la nostra mente
in oro.
L’alchimia è una vera
e propria filosofia di vita, è un’ideologia della salvezza e della libertà ed è
un sistema di pensiero ottimista: la debolezza dell’alchimista costituisce la
sua forza,il non raggiungere mai la sua
meta dà la misura dell’ambizione dei suoi sogni.
Lo rivela
l’esposizione “Io, Renato Guttuso” allestita nella splendida cornice dell’Ex
Convento di Santa Chiara a Noto, l’odierna sede del Museo Civico. La mostra,
organizzata da Sikarte e curata da Giuliana Fiori, chiuderà i battenti l’11
ottobre.
Attraverso le
trentaquattro opere selezionate, lo spettatore è invitato a seguire il percorso
dell’artista siciliano e a scoprire passo dopo passo il suo animo, per
conoscere le diverse sfaccettature della sua ricca personalità, a volte contraddittoria. Antifascista impegnato in politica e amante della bella vita,
generoso ma anche geloso di ciò che aveva conquistato, da uomo del sud,
attaccato alle proprie radici e nello stesso tempo aperto al mondo. Esuberante
e curioso, ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca di verità e alla loro
rappresentazione.
Nato a Bagheria nel
1911, successivamente si trasferì a Palermo e poi a Roma e a Milano ma non
dimenticò mai la sua Sicilia, la luce e i colori di questa terra si
rifletteranno sempre nelle sue opere. Si formò artisticamente sul modello delle
correnti figurative europee, influenzato da artisti come Courbet, Van Gogh e
Picasso, conuna forte infatuazione, a
volte contrastata, per tutto ciò che rappresentava l’Unione Sovietica, dove si
recò diverse volte come esponente del Partito Comunista italiano.
Nel 1948 in Polonia,
durante il Consiglio Mondiale della Pace a Wroclaw, Guttuso stringe amicizia
con Il'jaĖrenburg, un noto giornalista
e scrittore sovietico, con il quale condivideun’ammirazione incommensurabile per Picasso ed il proposito di assegnare all'artista spagnolo il Premio Lenin, essendo entrambi membri della giuria
delpremio destinato alle figure
politiche filo sovietiche oppure agli artisti stranieri cosiddetti “progressisti”.
Ma quest’idea, sostenuta anche da Aragon e Neruda, fu contrastata da altri
membri del Comitato cheritenevano
Picasso amorale. Riuscirono a realizzare il loro piano solo nel 1962. Nello
stesso anno Guttuso fu eletto membro onorario dell'Accademia delle arti
dell'URSS diretta allora da A.M. Gerasimov che odiava Picasso. Solo l’impegno
sociale nella pittura di Guttuso e la sua appartenenza al Partito Comunista
Italiano impedì a Gerasimov di ribaltare il risultato delle elezioni.
Nonostante la grande
differenza di età, il rapporto con l' amico scrittore durerà fino alla fine
della vita di Ėrenburg, che scrive nel libro di memorie “Uomini, anni, vita”
(1961) riferendosi al suo viaggio in Italia nel 1949, a cui partecipò anche
Picasso:
“Guttuso è un uomo di
passioni, un vero uomo del sud. Ancora oggi è alla ricerca di sé stesso: vuole
unire la verità con la bellezza e il comunismo con l'arte che ama; mi domandava
con esaltazione di Mosca e con devozione ammirava Picasso; dipingeva grandi
tele su temi politici e piccole nature morte”.
Esattamente queste
piccole nature morte, come anche i rigorosi limoneti, i paesaggi con gli ulivi
– il suo espressionismo mediterraneo - erano i più apprezzatiin Unione Sovietica. Proprio la sua
sicilianità aveva fatto breccia nel cuore dei russi.
Guttuso era visto in
Unione Sovietica come un divo venuto dall’occidente, era ammirato per la sua
ricca personalità esplosiva e perché era sincero e diretto.
La prima mostra di
Renato Guttuso a Mosca è stata possibile cinque anni dopo la morte di Stalin
con l’arrivo di Krusciov e la destalinizzazione. Il Museo Puskin di Mosca gli
dedicò un’importante retrospettiva nel ’61.
Lo scrittore ViktorNekrasov ricorda così un suo colloquio informale con Guttuso in quell'occasione:
“... Abbiamo parlato in una strana mescolanza
di russo, francese e italiano. Il motivo principale dei suoi attacchi era:
perchéstiamo mentendo così
testardamente in tempi così feroci. Sui giornali, nei libri, alle riunioni. Non
avevo gli argomenti per difendermi, quindi sono passato a un contrattacco.
- Sono un semplice
membro del partito, - mi sono giustificato - tu invece sei un amico di
Togliatti, il membro del Comitato Centrale del più grande e influente Partito
Comunista nel mondo occidentale. E tutto ciò che stai dicendo ora dovrebbe
essere detto non a me, ma a Brèžnev.
Guttuso scoppiò a ridere: - Figurati, hai
trovato con chi parlare ...
- Allora non fate i
ruffiani con lui! - urlai - E quando venite ai nostri congressi, tagliate la
testa al toro! Ma in somma, parliamo meglio dell'arte. – avevo smussato”.
Nella Russia di
allora le sue grandi tele con numerose figure - espressioni di temi politici -
erano ritenute non sufficientemente di sinistra anche perché gli esponenti del
Partito Comunista Italiano all'epoca erano accusati di revisionismo.E c’era anche chi nell'ambiente dell’arte
storceva il naso perché Renato non era in linea con la scuola accademica: i
principi del realismo socialista erano inflessibili.
E’ emblematico il
ritratto di Guttuso realizzato da Pavel Korin nel 1961 (Museo Russo,
Pietroburgo) che lo raffigurasullo
sfondo di una sua natura morta con un cesto di vimini piuttosto che sullo
sfondo di una sua tela "politica".
Nel 1972 gli viene
dedicata una mostra all’Accademia delle arti di Mosca.
Un testimone dell'
evento, Andrey Evplanov (scrittore e giornalista russo) così lo descrive:
“La mostra di dipinti
di Guttuso, che ebbe luogo nelle sale dell'Accademia delle arti dell'URSS,
divenne per me una finestra verso l'Italia. C'erano pochi quadri, e tutti si
sono fusi in un'unica immagine per me - qualcosa di leggero, luminoso,
eccitante. C'erano pochi visitatori alla mostra. E quelli che arrivarono
rimasero perplessi a lungo davanti al dipinto "I funerali di
Togliatti". Tra coloro che salutavano perl'ultimo viaggio il leader dei comunisti italiani, l'artista ha più
volte raffigurato lo stesso Togliatti, se stesso e un sacco di cloni di Lenin.
Successivamente, questa trovata è stata ampiamente utilizzata da Glazunov,
popolando densamente le sue creazioni con personaggi riconoscibili”.
Ma torniamo alla
mostra siciliana che ripercorre tutte le tappe della sua creatività. Tra gli
olii e i disegni possiamo scoprire Guttuso uomo, artista, intellettuale,
politico e scenografo.
L’esposizione del
Museo Civico di Noto inizia con il dipinto “L’aranceto” del 1957, che
sembrastarlì ad introdurre, ad annunciare allo
spettatore la "sicilitudine" che percepirà aggirandosi tra le opere
di Renato Guttuso, quella condizione esistenziale e metafisica che trapela da
ogni sua tela.
Potrete ammirare il
coloratissimo studio per il famoso dipinto “Vucciria”: “La cassetta con
peperoni e melanzane” del 1974, un dipinto che nella mostra vive di propria
luce.
E poi le opere
dedicate all'universo femminile come espressione di quiete - “Mimise che dorme”
del 1941, un toccante ritratto della moglie Maria Luisa Dotti - ma anche alcuni
nudi conturbanti dedicatialla sua musa
Marta Marzotto.
“La visita di Dürer”
è la fusione perfetta tra presente e passato, un convivio tra l’arte e il
cinema rappresentati da Dürer e da Marlene Dietrich, con le mani di Guttuso che
fanno glionori di casa offrendo un
dolce siciliano.
E la “Eruzione
dell’Etna” con le persone-ombra che ammirano il lento movimento di fiumi di
magma incandescente, il dipinto che sembra dialogare con i reperti archeologici
della Noto Antica distrutta dal terremoto, esposti nella sala, in un intimo
memento mori.
Museo Civico di Noto
- Ex Convento di Santa Chiara
27 giugno - 11
ottobre 2020.
Visitabile tutti i
giorni dal lunedì alla domenica.
È
curioso: questo disegno lo avevo preparato per fare gli auguri di buon 2020.
Non vi sembra una famiglia in quarantena?
Tanti
anni fa avevo iniziato a fare gli auguri di Natale e di Buon Anno ai miei amici
con un disegno, tant’è che è diventata una tradizione. Dopo aver esaurito i segni dello zodiaco
cinese che si basa su un ciclo di 12 anni, ad ognuno dei quali è associato ad
un animale, ho cominciato ad usare o il tema del progetto sul quale stavo
lavorando, oppure sperimentavo qualche tecnica nuova. Così è accaduto anche per
il 2020.
Volevo
semplicemente raffigurare (come augurio) una famiglia unita, con le radici
forti, invece avevo raffigurato la quarantena.
“È il virus?” di Lolita Timofeeva, cm.80x60, alchid su tela,
2004
“State a casa e divertitevi! La morte
nera fugge dalla musica e dall’allegria”.
È la citazione dal film “Avicenna”
di Kamil Jamatov (1956) che descrive un’epidemia
di peste.
Avicenna sottolineava lo stretto
rapporto tra emozioni e salute, e riteneva che la musica ha effetti importanti
sullo stato del paziente.
“È il virus?” è un dipinto del 2004 al quale
sono molto affezionata e lo tengo in casa. Mi sono resa conto che è diventato attuale
oggi nel 2020 durante la pandemia di coronavirus.