Passioni offuscate

di Lino Cavallari
cover_thumb Cara Lolita, ho preso atto del tuo nuovo blog e così ho potuto leggere un po' di cronaca su quanto è avvenuto a Bologna durante Arte Fiera. Mi pare che questa sia stata la 34° edizione, ma mai che nessuno si ricordi che la manifestazione è stata inventata dal mio collega e maestro di giornalismo d'arte Giorgio Ruggeri, di cui l'anno scorso ho conosciuto il figlio (con la moglie giapponese e il loro bambino). C'ero soltanto io nella chiesa di Santa Rita in via Massarenti, al funerale di Ruggeri, le cui stroncature ricadevano sul mio capo essendo il suo "vice", come il diluvio di parolacce da parte del defunto Borgonzoni, durante una sua mostra in una galleria in via Guerrazzi che ora non esiste più, che mi fece rimanere molto perplesso non sapendo nemmeno a che cosa alludesse, e che impaurì non poco una amica che mi accompagnava, Gianna Sciannamè. Poi, con Borgonzoni, artista bolognese dalla lunga storia, facemmo pace. Eppure Ruggeri dava a ciascuno il suo ed era molto severo (tranne nell'ultimo periodo, in cui si era talmente ammansito da prendere in considerazione tutti: un discutibile declino.
Insomma, dici di esserti divertita con le opere degli artisti emergenti, nomi che io non conosco perché sono fuori dal giro anche se resto informato con le riviste del settore. Ma oggi non c'è paragone con quanto si viveva negli anni 1960-'70-'80, come ti può testimoniare Helga Schneider, il cui nome leggo nel sottofondo del tuo blog. Lei, che ha alle spalle una storia terribile nella Germania di Hitler descritta in alcuni libri, come me collaborava alla edizione pomeridiana del Resto del Carlino, "Carlino Sera". E' per questa ragione che l'ho ricordata a un collega che ora vive a Beverino (La Spezia), Gualtiero Vecchietti, figlio del commediografo Otello Vecchietti noto come "Massimo Dursi" e nipote di Giorgio Vecchietti inventore della rubrica televisiva "TV 7", perché Gualtiero era come il redattore capo di questo giornale che radunava un mucchio di giovani, alcuni dei quali si sarebbero fatti strada, come Giorgio Rossi ("Giorgio Cortenova") direttore fino a qualche tempo fa di Palazzo Forti a Verona, o Enrico Franceschini, attuale corrispondente da Londra per "la Repubblica" dopo esserlo stato da Mosca. In tal modo la Schneider ha potuto parlare a lungo con Gualtiero, che ora dirige un giornalino, "La Gazzetta del Vara", rievocando quei tempi in cui l'arte destava passioni forti e sanguigne, insomma "hot" come i "misteri" sanguinolenti di Hermann Nitsch, e non il moderato interesse d'oggi, freddo e pallido, "cool", quasi in un limbo illuminato dal neon. In Italia, che io sappia, il neon in tubi fluorescenti, per simulare il percorso di rami d'albero, esempio di concettualismo, fu usato per primo da Germano Olivotto, che oggi sarebbe certamente una stella se fosse vissuto.
Accantonato il finto tecnicismo di Nam June Paik, con i suoi televisori ammonticchiati, questi sono i tempi di Marco Lodola e di Jeff Koons, che peraltro hanno fatto anch'essi il loro tempo (come testimoniano le tue fotografie ad "Arte Fiera") ma i giovani mi sembra vadano ad attingere abbondantemente nel "Nouveau Realisme" di Pierre Restany e soprattutto in quel movimento trasversale che fu il Gruppo "Fluxus" (che non viene neppure più nominato, forse per timore di identificare le fonti di una presunta freschezza inventiva), oltre che nella vastità del Futurismo e sue filiazioni nei vari paesi del mondo in cui si espanse.

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